TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA 
 
 
                           Sezione penale 
 
    Il tribunale, composto dai magistrati: 
        dott. Francesco Caruso, Presidente; 
        dott. Cristina Beretti, giudice; 
        dott. Andrea Rat, giudice; 
 
                              Ordinanza 
 
    1. Conviene ricordare ancora una  volta  che  avanti  l'intestato
tribunale  si  sta  celebrando  il   «maxi   processo»,   comunemente
denominato «Aemilia», che vede imputate piu' di 150 persone,  per  il
reato di associazione a delinquere di stampo 'ndranghetistico oltre a
molteplici reati fine aggravati dall'art. 7, legge n. 203/1991. 
    All'odierna udienza tutti i  difensori,  con  il  consenso  degli
imputati in stato di custodia cautelare in carcere, hanno ancora  una
volta aderito  allo  sciopero  proclamato  dall'Unione  delle  Camere
penali. 
    Si tratta della quinta  settimana  di  astensione  dalle  udienze
penali degli avvocati organizzati in associazioni di categoria. 
    La proclamazione e l'adesione all'astensione generalizzata  dalle
udienze penali, sono avvenute nelle forme e nei  modi  stabiliti  dal
codice di autoregolamentazione, previsto dalla legge  n.  146/1990  e
successive modifiche per disciplinare modalita', tempi  e  condizioni
dell'astensione  degli  avvocati  nel  servizio  pubblico  essenziale
dell'amministrazione della giustizia penale. 
    Va segnalato come  le  associazioni  proclamanti  hanno  ignorato
l'invito a revocare l'ennesima settimana di astensione (la quinta  in
cinque mesi e mezzo) rivolto dall'Autorita' garante per  lo  sciopero
nei servizi pubblici essenziali. Sul sito della Commissione  si  puo'
leggere che l'Autorita' di garanzia per gli scioperi ha chiesto  alle
associazioni di rappresentanza degli avvocati di revocare lo sciopero
proclamato dal 12 al 16 giugno, considerato che nel corso  dell'anno,
si sono svolte gia' ben quattro  astensioni  (per  un  totale  di  18
giorni).  Nel  rivolgersi  ai  professionisti,  la   Commissione   ha
rammentato il rischio che l'ennesimo sciopero, proclamato in un breve
arco temporale, «finirebbe per pregiudicare la buona  amministrazione
della giustizia penale nel suo complesso.». 
    Il rifiuto  di  accogliere  la  richiesta  dell'Autorita'  rivela
l'inadeguatezza  della  disciplina  legislativa  a  salvaguardare  il
servizio pubblico della giustizia penale e la sostanziale mancanza di
strumenti efficaci per regolamentare l'astensione degli avvocati,  in
particolare quella specifica forma  di  astensione  in  processi  con
imputati detenuti, come quello che questo  tribunale  sta  trattando,
senza uguali nel nord Italia per dimensioni, complessita', numero  di
imputati e di capi di imputazioni. 
    Questo tribunale, dubitando della legittimita'  della  disciplina
dettata dal codice di autoregolamentazione,  contenuta  nell'art.  4,
comma 1, lettera b), ha sollecitato, ai sensi dell'art.  13,  lettere
a) e b), legge  n.  146/1990,  la  Commissione  di  garanzia  per  lo
sciopero nei servizi pubblici essenziali a pronunciarsi su una  serie
di questioni relative alla legittimita'  costituzionale  del  sistema
derivante dal combinato degli articoli 2-bis e 4, comma 1, lettera b)
del codice di autoregolamentazione. 
    Risulta che la Commissione  abbia  convocato  presso  di  se'  le
associazioni di categoria e abbia prospettato l'esigenza di  profonde
modifiche nel  codice  di  autoregolamentazione  dell'astensione  dei
penalisti, con specifico riferimento alla materia dei procedimenti di
criminalita' organizzata con imputati detenuti. 
    In sostanza  la  Commissione  di  garanzia,  nel  richiamare  gli
avvocati a riaprire  il  confronto  finalizzato  alla  revisione  del
vigente codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze
(adottato in data 4 aprile 2007 da O.U.A.,  UCPI,  ANFI,  ANF,  AIGA,
UNCC, valutato idoneo dalla Commissione di garanzia con  delibera  n.
07/749 del 13 dicembre 2007 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  n.
3 del 4  gennaio  2008),  con  particolare  riferimento  all'art.  4,
lettera b), ha ritenuto di condividere le  preoccupazioni  di  questo
tribunale sulla tenuta costituzionale dell'assetto normativo  vigente
in materia di disciplina dell'astensione dalle udienze,  quanto  meno
nei processi di criminalita' organizzata con imputati detenuti. 
    Si richiama a questo proposito la lettera che la  Commissione  ha
inviato a questo tribunale: Prot: 0007052/AVV dell'11 maggio 2017. 
    Le sollecitazioni della Commissione non hanno  portato  ad  alcun
ripensamento ne' ad alcun raffreddamento del  conflitto,  dimostrando
la  difficolta'  della  Commissione  nei  confronti   della   potente
categoria degli avvocati penalisti, i quali allo stato  continuano  a
gestire,  senza  alcun  ripensamento,  l'astensione  dalle   udienze,
secondo un codice  di  autoregolamentazione  della  cui  legittimita'
costituzionale l'organo garante dubita e nonostante questo. 
    E' evidente come, in assenza di intervento  del  legislatore,  il
solo modo  per  riportare  l'assetto  normativo  della  materia  alla
normalita' costituzionale sia  di  invocare  l'intervento  risolutivo
della Corte costituzionale  che,  come  in  occasione  della  storica
sentenza n.  171  del  1996  dovra'  valutare  se  l'attuale  assetto
normativo  sia  conforme  alle  esigenze  di  equilibrio  tra  valori
costituzionali antagonisti e attui correttamente il bilanciamento tra
i contrapposti valori in gioco: il diritto di liberta' degli avvocati
di manifestare dissenso dalle scelte legislative in materia penale, e
la necessita' di salvaguardare il nucleo minimo ed  essenziale  delle
prestazioni che la giustizia penale deve erogare a  salvaguardia  dei
fondamentali valori espressi dagli articoli  3/1,  13/1  e  seguenti,
24/1-2, 27/2, 70, 97/2, 101/1-2, 102, 111 della  Costituzione,  sotto
il profilo della tutela del principio  del  contraddittorio  e  della
ragionevole durata, tanto piu' rilevante quando si tratta di  giudizi
penali con imputati detenuti. Tali processi devono essere trattati  e
definiti nel minor tempo possibile, un tempo calibrato esclusivamente
sulle esigenze processuali e sulla disponibilita' delle risorse della
giustizia,  dovendosi  garantire  al  contempo  la  minor  sofferenza
possibile ed una detenzione che, potendo risultare ingiusta  dopo  il
giudizio, deve risolversi nel minor  tempo  per  l'imputato  presunto
innocente. Al contempo deve  essere  assicurata  la  definizione  del
processo entro i tempi massimi e complessivi di  custodia  cautelare,
previsti per i tre gradi di giudizio, nei confronti dell'imputato per
il quale sussistono specifiche esigenze di  custodia  cautelare,  che
vanno salvaguardate anche con la tempestiva pronuncia della  sentenza
definitiva, prima della scadenza dei termini, nelle  diverse  fasi  e
nel complesso dei plurimi gradi di giudizio. 
    Questo tribunale ha gia' sollevato con ordinanza  del  23  maggio
2017 questione di legittimita' costituzionale dell'art.  2-bis  della
legge n. 146/1990, nella parte in  cui  consente  che  il  codice  di
autoregolamentazione delle astensioni dalle  udienze  degli  avvocati
(valutato idoneo dalla Commissione di garanzia con delibera n. 07/749
del 13 dicembre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 3 del  4
gennaio 2008) stabilisca  (art.  4,  comma  1,  lettera  b)  che  nei
procedimenti e nei processi in relazione ai quali l'imputato si trovi
in stato di custodia cautelare o di detenzione, si  proceda  malgrado
l'astensione  del   difensore   solo   ove   l'imputato   lo   chieda
espressamente. 
    I parametri costituzionali invocati sono quelli sopra  riportati.
In  piu'  nella  precedente  ordinanza  vi  e'  solo  uno   specifico
riferimento all'art. 1 che si combina con l'argomento  sviluppato  in
relazione all'art. 70. 
    Il contenuto sostanziale di detta ordinanza va qui  confermato  e
richiamato e ad essa  in  ogni  sua  parte  ci  si  riferisce,  senza
trascriverne il contenuto per elementare esigenza di ordine. 
    In   questa   nuova    ordinanza,    determinata    dall'ennesima
dichiarazione di astensione degli avvocati, assentita dagli  imputati
detenuti, pur essa effettuata in modo conforme alle norme del  codice
di  autoregolamentazione,  il  tribunale  intende   puntualizzare   e
precisare alcuni punti degli argomenti sviluppati  nell'ambito  della
precedente ordinanza. 
    2. La disciplina in  materia  di  astensione  degli  avvocati  e'
dettata,  oltre  che  dalla  fonte  costituzionale  (art.  18   della
Costituzione), dalla legge n. 146 del  1990,  cosi'  come  modificata
dalla legge n. 83 del 2000, recante «norme sull'esercizio del diritto
di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia  dei
diritti  della  persona  costituzionalmente  tutelati»,  nonche'  nel
codice di autoregolamentazione delle astensioni delle  udienze  degli
avvocati. 
    Per mere esigenze espositive si  richiama  il  quadro  normativo,
riportato nella precedente ordinanza: 
        a)  l'art.  2-bis  della  legge  n.  146/1990  prevede   che:
«L'astensione collettiva dalle prestazioni, a fini di protesta  o  di
rivendicazione  di  categoria,  da  parte  di  lavoratori   autonomi,
professionisti o piccoli imprenditori, che incida sulla funzionalita'
dei servizi pubblici di cui all'art. 1, e' esercitata nel rispetto di
misure  dirette   a   consentire   l'erogazione   delle   prestazioni
indispensabili  di  cui  al  medesimo  articolo.  A  tale   fine   la
Commissione di garanzia di cui all'art. 12  promuove  l'adozione,  da
parte delle associazioni o degli organismi  di  rappresentanza  delle
categorie  interessate,  di  codici   di   autoregolamentazione   che
realizzino, in caso di astensione collettiva, il contemperamento  con
i diritti della persona costituzionalmente tutelati di  cui  all'art.
1. Se tali codici mancano o non sono valutati idonei a  garantire  le
finalita' di cui al comma 2 dell'art. 1, la Commissione di  garanzia,
sentite le parti interessate nelle forme previste dall'art. 13, comma
7, lettera a), delibera la provvisoria regolamentazione. I codici  di
autoregolamentazione devono in ogni  caso  prevedere  un  termine  di
preavviso non inferiore a quello indicato al  comma  5  dell'art.  2,
l'indicazione  della  durata  e  delle  motivazioni   dell'astensione
collettiva, ed assicurare in ogni  caso  un  livello  di  prestazioni
compatibile con le finalita' di cui al comma 2 dell'art. 1»; 
        b) i commi 1 e 2 dell'art. 1 della legge  n.  146  del  1990,
richiamati, con il sistema del  rinvio,  dal  riportato  art.  2-bis,
stabiliscono che: «1. Ai fini della presente legge  sono  considerati
servizi pubblici essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica
del rapporto di lavoro, anche se svolti in regime  di  concessione  o
mediante convenzione, quelli  volti  a  garantire  il  godimento  dei
diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla  vita,  alla
salute,  alla  liberta'  ed  alla   sicurezza,   alla   liberta'   di
circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione  ed
alla  liberta'  di  comunicazione.  2.  Allo  scopo  di  contemperare
l'esercizio del diritto di sciopero  con  il  godimento  dei  diritti
della persona, costituzionalmente tutelati, di cui  al  comma  1,  la
presente legge dispone le regole da  rispettare  e  le  procedure  da
seguire   in   caso   di   conflitto   collettivo,   per   assicurare
l'effettivita', nel loro contenuto essenziale, dei diritti  medesimi,
in particolare nei seguenti servizi e limitatamente all'insieme delle
prestazioni individuate come indispensabili ai sensi dell'art.  2...»
(omissis); 
        c) l'art 4, comma 1, lettera b) stabilisce che:  L'astensione
non e'  consentita  nella  materia  penale  in  riferimento  ai  «...
procedimenti e nei processi in relazione ai quali l'imputato si trovi
in stato di custodia cautelare o di detenzione, ove l'imputato chieda
espressamente, analogamente  a  quanto  previsto  dall'art.  420-ter,
comma 5 (introdotto dalla legge n. 479/1999) del codice di  procedura
penale, che si proceda malgrado l'astensione del  difensore.  In  tal
caso il difensore di fiducia o  d'ufficio,  non  puo'  legittimamente
astenersi ed  ha  l'obbligo  di  assicurare  la  propria  prestazione
professionale.». 
    3. Va anche qui, per esigenze espositive, riportato lo stato  del
diritto vivente, che muove dalla sentenza L. delle Sezioni unite  (n.
40187  del  29  settembre  2014).  Si  e'  scritto  nella  precedente
ordinanza che «il massimo consesso nomofilattico, dopo  un'articolata
disamina dell'evoluzione normativa e  giurisprudenziale  registratasi
in materia, ha per un verso ribadito la valenza  cogente  erga  omnes
delle norme del codice di autoregolamentazione, aventi forza e valore
di normativa secondaria o regolamentare; per altro verso, ha  escluso
la configurabilita', nell'attuale assetto  normativo,  di  un  potere
giudiziale di bilanciamento («se non in  ipotesi  eccezionali  ed  in
limiti molto ristretti») tra il diritto all'astensione  e  gli  altri
diritti  e   valori   di   rilievo   costituzionale,   essendo   tale
bilanciamento gia' stato operato dal  legislatore  e  dalle  predette
fonti secondarie. A sostegno di tali conclusioni, la sentenza ha  tra
l'altro valorizzato: 
        a) la natura non di mera  liberta',  ma  di  vero  e  proprio
diritto, avente un sicuro fondamento costituzionale, che deve  essere
riconosciuta all'astensione forense; 
        b) la riconduzione nell'ambito del «diritto oggettivo»  delle
norme contenute nel codice di autoregolamentazione dichiarato idoneo,
essendo state fissate  da  una  specifica  fonte  normativa,  cui  il
legislatore  primario  ha  attribuito  la  specifica   competenza   a
disciplinare la materia dell'astensione; 
        c) la gia' avvenuta integrale regolazione di quest'ultima  da
parte del legislatore e  delle  fonti  secondarie,  che  hanno  cosi'
realizzato un compiuto bilanciamento tra il diritto  ad  astenersi  e
gli altri diritti e valori  di  rilievo  costituzionale  (diritto  di
difesa e di azione, interesse dello Stato ad evitare la prescrizione,
ecc.); 
        d) la riserva al giudice, invece, della valutazione  relativa
alla conformita'  degli  atti,  costituenti  concreto  esercizio  del
diritto ad astenersi, rispetto alla normativa primaria  e  secondaria
predetta, correttamente interpretata; 
        e) la possibilita' per il giudice di compiere, in detta fase,
un «bilanciamento indiretto» degli  interessi  in  gioco,  attraverso
un'interpretazione adeguatrice e costituzionalmente  orientata  delle
norme primarie e secondarie, ovviamente con i limiti costituiti dalla
lettera della disposizione e dalla ratio della soluzione normativa; 
        f) la possibilita' di ipotizzare un bilanciamento  giudiziale
solo in ipotesi eccezionali, quali il venir meno della vigenza  delle
fonti secondarie, o l'emersione di diritti  e  valori  costituzionali
ulteriori (non riconducibili cioe' a  quelli  per  i  quali  e'  gia'
normativamente avvenuto  il  bilanciamento):  non  potendo  ritenersi
sufficiente, a tali  fini,  il  richiamo  a  generiche  «esigenze  di
giustizia» concernenti ad esempio il disagio per i testi residenti in
localita' lontane. 
    Puo' essere peraltro opportuno riportare le regole di diritto che
la Cassazione ha dettato sul punto: 
        «Il bilanciamento tra il diritto costituzionale dell'avvocato
che  aderisce   all'astensione   dall'attivita'   giudiziaria   e   i
contrapposti diritti  e  valori  costituzionali  dello  Stato  e  dei
soggetti interessati al servizio giudiziario,  e'  stato  realizzato,
conformemente alle indicazioni della sentenza costituzionale  n.  171
del 1996, in via generale dal legislatore primario con  la  legge  n.
146 del 1990 (come modificata e integrata dalla legge n. 83 del 2000)
e dalle suddette fonti secondarie alle quali  e'  stata  dalla  legge
attribuita  la  competenza  in  materia,  mentre  al  giudice  spetta
normalmente il compito di accertare se l'adesione all'astensione  sia
avvenuta  nel  rispetto  delle  regole   fissate   dalle   competenti
disposizioni   primarie   e   secondarie,   previa   loro    corretta
interpretazione». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    Ancora una  volta  questo  tribunale,  dovendo  provvedere  sulla
richiesta  di  rinvio   dell'udienza,   dubita   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 2-bis della legge n. 149 del 12 giugno  1990
nella  parte  in  cui  consente,   con   riferimento   all'astensione
collettiva dalle prestazioni  dei  professionisti  avvocati,  che  il
codice di autoregolamentazione adottato dalla categoria professionale
in questione, come rappresentata  dalle  associazioni  di  categoria,
valutato idoneo dalla Commissione di garanzia con delibera n.  07/749
del 13 dicembre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 3 del  4
gennaio  2008,  preveda  una  disposizione,  quale  quella  contenuta
nell'art. 4, comma 1, lettera b) che, nel disciplinare le prestazioni
indispensabili  alle  quali  il  professionista  avvocato  non   puo'
sottrarsi  neppure  in  presenza  di  un'astensione   collettiva   di
categoria  legittimamente  proclamata,   esclude   dal   divieto   di
astensione i procedimenti e i processi nei  quali  l'imputato  o  gli
imputati si trovino in stato di custodia cautelare o  di  detenzione,
ove gli imputati o alcuni di essi non chiedano espressamente  che  si
proceda, malgrado l'astensione del difensore. Solo  in  tal  caso  il
difensore  di  fiducia  o  d'ufficio  e'  tenuto   alla   prestazione
professionale. 
    La legge, integrata dal codice di autoregolamentazione  approvato
dalla Commissione di garanzia, consente  ai  difensori  nei  processi
penali di astenersi anche in processi con detenuti, a  meno  che  gli
imputati in stato di custodia cautelare  non  chiedano  espressamente
che si proceda, nonostante i difensori abbiano aderito all'astensione
collettiva dalle udienze. 
    Rispetto  a  quanto  esposto  nella  precedente   ordinanza,   il
tribunale intende  qui  approfondire  l'argomento  che  attiene  alla
rilevanza  e  all'ammissibilita'  della  questione  di   legittimita'
costituzionale con riferimento alla natura giuridica e al valore  del
codice di autoregolamentazione. Dalla lettura  della  sentenza  della
suprema Corte prima richiamata, si comprende che  per  i  giudici  di
legittimita'  la  legge  n.   146/1990   considera   il   codice   di
autoregolamentazione   come   integrante   la    disciplina    legale
dell'astensione  degli  avvocati.  Per  la  Cassazione  la  legge  ha
disciplinato l'astensione degli  avvocati,  rimediando  alle  censure
della sentenza della Corte costituzionale n. 171/1996 e attuandone le
indicazioni in tema di bilanciamento,  rinviando  per  la  disciplina
specifica al codice di autoregolamentazione,  fonte  secondaria  alla
quale la legge attribuisce il rango di norma primaria, posto  che  il
codice di autoregolamentazione  in  base  all'art.  2-bis,  legge  n.
146/1990, come interpretato dalla Cassazione, e' la fonte autorizzata
a porre la norma che regola l'astensione. Al giudice non e'  permesso
di disattendere il codice e neppure  di  denunciarne  la  difformita'
rispetto alla norma primaria. Quest'ultima non detta alcuna specifica
disciplina del contenuto del codice di autoregolamentazione, non pone
limiti e condizioni rispetto ai  quali  effettuare  un  confronto  di
conformita' e  coerenza  per  eventualmente  disattendere  il  codice
perche'  contrario  alla  legge.  Il   legislatore   nel   caso   dei
professionisti, e  a  differenza  di  tutte  le  altre  categorie  di
lavoratori dei  servizi  pubblici  essenziali,  si  e'  semplicemente
spogliato  del  potere  regolamentare  e  lo   ha   attribuito   alla
Commissione di garanzia con una norma di rinvio e di recepimento  del
codice di autoregolamentazione al quale finisce con  l'attribuire  la
forza di norma primaria. 
    Il rispetto delle misure dirette a consentire l'erogazione  delle
prestazioni indispensabili e' formula richiamata solo per  attribuire
alla Commissione di garanzia il compito di promuovere  l'adozione  da
parte delle categorie interessate del codice di autoregolamentazione,
finalizzato   genericamente   al   «contemperamento»   dei    diritti
costituzionalmente tutelati. Come questo contemperamento debba essere
attuato la legge non dice; non formula  indicazioni  e  criteri,  non
fornisce direttive e criteri di  priorita'.  La  legge  si  limita  a
delegare al codice di autoregolamentazione la disciplina  sostanziale
dell'astensione  (casi,  modi  circostanze,  servizi  essenziali   da
garantire,  tempi,  durata,  modalita'  di   proclamazione,   livelli
essenziali ecc.). Si limita a richiedere l'indicazione della durata e
della motivazione e un livello  di  prestazioni  compatibile  con  le
finalita' di cui  all'art.  1.  Quest'ultimo  richiamo  non  fornisce
tuttavia alcun elemento per autonomamente valutare se l'obiettivo  di
«compatibilita'» sia stato  realizzato.  In  sostanza  un'indicazione
generica e una delega in bianco alla  Commissione  di  garanzia,  con
l'effetto del recepimento sul piano sostanziale della disciplina  del
codice di  autoregolamentazione,  approvato  dalla  Commissione,  che
finisce con l'avere, attraverso la copertura  della  legge,  rango  e
forza di norma primaria. Da qui  l'ammonimento  della  Cassazione  ai
giudici di merito a non «toccare» il codice di  autoregolamentazione,
nel senso di non poterne sindacare autonomamente il contenuto, di non
valutarne allo stesso modo  la  compatibilita'  con  altre  norme  di
legge, di non eseguire autonomi bilanciamenti e sottovalutazione  del
valore delle norme del codice, da applicare «come se»  fossero  norme
dettate dalla fonte primaria. 
    La  Cassazione  dice  che  il  bilanciamento   tra   il   diritto
costituzionale  dell'avvocato  che  aderisce   all'astensione   e   i
contrapposti diritti e valori costituzionali dell'ordinamento  e  dei
soggetti interessati al servizio giudiziario, e' stato realizzato, in
via generale dal legislatore primario con la legge n.  146  del  1990
(come modificata e integrata dalla legge n.  83  del  2000)  e  dalle
suddette fonti secondarie alle quali e' stata dalla legge  attribuita
la competenza in materia, mentre al  giudice  spetta  normalmente  il
compito di accertare se l'adesione all'astensione  sia  avvenuta  nel
rispetto delle regole fissate dalle competenti disposizioni  primarie
e secondarie, previa loro corretta interpretazione. 
    Il bilanciamento e'  quindi  materia  di  spettanza  delle  fonti
primarie e secondarie, combinate tra loro, cui la  legge  attribuisce
«la competenza in materia» (cioe' la  competenza  al  bilanciamento);
singolarmente  il   giudice   non   puo'   effettuare   un   autonomo
bilanciamento nel confronto tra le norme  dell'ordinamento  nel  loro
complesso ma  deve  limitarsi  ad  una  interpretazione  limitata  al
sottosistema   della   disciplina   dell'astensione;   la   «corretta
interpretazione» deve limitarsi alla lettura delle norme  del  codice
in combinazione con le norme di legge che, come  si  e'  visto,  sono
sostanzialmente prive di contenuti. 
    Che questo sistema sia conforme alle indicazioni  della  sentenza
della Corte costituzionale n. 171/1996, cosi' come ritiene  la  Corte
di cassazione, e' il quesito che il tribunale si e' posto,  giungendo
alla conclusione della non manifesta infondatezza della questione  di
costituzionalita',  alla  stregua  di  una  pluralita'  di  parametri
costituzionali. 
    Sta  di  fatto  che  il  diritto  vivente,   allo   stato   della
giurisprudenza,  non  consente  in  alcun  modo   al   tribunale   di
disapplicare o interpretare il codice  di  autoregolamentazione  alla
luce di parametri prevalenti rispetto ai quali misurare una eventuale
illegittimita' delle disposizioni del codice.  Trattandosi  di  norme
poste e da applicarsi come se fossero legge, non resta  al  tribunale
che rimetterne la valutazione alla Corte  costituzionale,  impugnando
sia la fonte primaria che la  fonte  secondaria  che  determinano  la
disciplina normativa concreta della fattispecie in esame. 
    Come gia' osservato nella precedente ordinanza, la questione  che
il tribunale intende sollevare con riferimento al citato art.  2-bis,
legge n. 149/1990 e all'art 4, comma 1,  lettera  b)  del  codice  di
autoregolamentazione e' rilevante in relazione alla decisione che  il
tribunale deve adottare di disporre il rinvio  dell'odierna  udienza,
nella quale tutti i difensori hanno ritualmente dichiarato di aderire
all'astensione collettiva proclamata dalle Camere  penali,  per  ogni
altro  aspetto  conforme  alle  regole  e  prescrizioni   formali   e
sostanziali previste dal predetto codice di autoregolamentazione. 
    In presenza  di  una  astensione  collettiva  dei  professionisti
avvocati, ai sensi dell'art 2-bis, legge  n.  149/1990,  conforme  al
codice di autoregolamentazione previsto  dal  medesimo  articolo,  il
tribunale secondo il diritto vivente non ha possibilita' di  valutare
autonomamente la legittimita'  dell'astensione  e  di  bilanciare  il
diritto all'astensione con altri  beni  e  valori  costituzionalmente
rilevanti ma deve disporre il  rinvio,  nonostante  sia  evidente  il
pregiudizio per  altri  fondamentali  diritti  della  persona  e  del
cittadino  imputato.  Tale  rinvio  produrrebbe  di  conseguenza  gli
effetti che si connettono al rinvio determinato  dall'astensione  dei
difensori: 
        sospensione del  termine  di  prescrizione  fino  alla  nuova
udienza; 
        analogamente, sospensione dei termini di  custodia  cautelare
per la fase del dibattimento di primo grado in corso. 
    Il tribunale, in base alla  norma  vigente,  deve  prendere  atto
dell'esistenza di una fattispecie conforme  alla  regola  di  diritto
dettata da Cass. sez. un., 27 marzo 2014, n. 40187, L.; dare atto del
diritto al rinvio dei  difensori  e  della  sospensione  dei  termini
anzidetti, fino alla nuova udienza che il tribunale potrebbe  fissare
in modo del tutto  discrezionale,  sospendendo  il  dibattimento  non
necessariamente per pochi giorni ma anche per settimane o addirittura
mesi, secondo le proprie esigenze organizzative. La  norma  che  deve
essere in concreto applicata in questa fase del  processo  e'  quella
che il  combinato  delle  norme  richiamate,  fonda  il  «diritto  al
rinvio», attribuito dal sistema legale e dalla  giurisprudenza  della
suprema Corte ai professionisti avvocati che deliberino  l'astensione
collettiva  in  modo  conforme  al  codice  di   autoregolamentazione
approvato, pure in presenza di imputati detenuti purche' costoro  non
chiedano procedersi nonostante l'astensione dei difensori. 
    Si e' gia' detto ma conviene ripetere che per  la  giurisprudenza
di legittimita' il codice di autoregolamentazione ha valore di  legge
ed efficacia  erga  omnes;  una  volta  integrati  i  presupposti  di
legittimita' dell'astensione, secondo il codice medesimo, non residua
in capo al giudice alcun potere di valutazione e di bilanciamento tra
il diritto del difensore e la tutela di  altri  diritti  fondamentali
aventi copertura costituzionale. 
    Tale posizione giustifica per un primo aspetto la rilevanza della
q.l.c. che si intende proporre, posto che dovendosi  dare  attuazione
alle disposizioni del codice  e  non  essendovi  spazio  per  diverse
letture interpretative delle norme del codice di autoregolamentazione
che possano escludere il riconoscimento della sussistenza del diritto
nel caso concreto, il contemperamento tra il  diritto  all'astensione
collettiva dei professionisti e gli altri diritti  costituzionalmente
tutelati trova completa realizzazione  nella  «legge»  (rectius:  nel
combinato tra legge e codice di autoregolamentazione), come  definita
dalla suprema Corte; tale combinato, come detto, ha risolto  a  monte
il conflitto,  in  modo  che  non  ammette  interpretazioni  volte  a
intendere diversamente il bilanciamento tra i contrapposti valori  in
gioco,  sulla  base  di  parametri  oggettivi,  certi,  generali   ed
astratti, non rimessi a valutazioni discrezionali del singolo caso. 
    Ne' il correttivo introdotto in extremis nell'ultima parte  della
motivazione della sentenza L.  consente  di  giungere  a  conclusioni
diverse. Su questo punto si rinvia all'ordinanza del 23 maggio  2017,
dovendosi   escludere   che   il   bilanciamento   possa    rientrare
indirettamente  secondo  la  tecnica  marginalmente  adombrata  dalla
suprema Corte. 
    Sul piano applicativo e dell'interpretazione delle norme  non  si
possono introdurre criteri di bilanciamento che il legislatore, nella
lettura delle Sezioni unite, ha giudicato espressamente irrilevanti o
soccombenti, nel momento in cui ha autorizzato la negoziazione tra la
categoria interessata e la Commissione di garanzia. Se si e' ritenuto
da parte del legislatore di abdicare a una diretta  tutela  di  tutti
gli altri valori costituzionali in gioco, demandandone la tutela alla
Commissione di garanzia, delegata a tutelarli su un  piano  meramente
negoziale,  e  se  la  suprema  Corte  ha  fissato  rigorosi  confini
all'intervento del giudice e al suo potere d'interpretazione, non  vi
e' interpretazione adeguatrice che possa far ritornare in gioco  quei
valori che il codice di autoregolamentazione espressamente  subordina
al diritto di astensione dei difensori. Ne segue che il tentativo  di
recupero  di  un  potere  discrezionale  del   giudice,   sul   piano
dell'interpretazione in concreto della norma regolamentare, alla luce
di  «altri»  principi  e  valori  costituzionali,  trova  il   limite
invalicabile di ogni attivita' interpretativa: l'interpretazione  non
puo' allontanarsi dal dettato normativo tanto da conseguire risultati
contra legem, dovendosi percorrere in tali ipotesi  la  strada  della
questione di legittimita' costituzionale. 
    Nel caso in  esame,  la  disciplina  legislativa  scaturente  dal
codice di autoregolamentazione regola espressamente, con chiarezza  e
senza alcun vuoto  normativo,  la  situazione  normativa  che  questo
tribunale considera costituzionalmente illegittima perche' lesiva  di
altri fondamentali diritti della persona e di principi costituzionali
inderogabili. Nella disciplina  regolamentare  tutti  i  confliggenti
valori costituzionali, la liberta' personale, il  diritto  di  difesa
dell'imputato in vinculis, il giusto processo,  la  garanzia  che  il
processo con imputati detenuti nei cui confronti sussistono  esigenze
cautelari  e  percio'  in  custodia  cautelare  si  svolga  in  tempi
compatibili con la presunzione  di  innocenza,  e  quindi  il  giusto
contemperamento tra esigenze di sicurezza, tempi processuali e  tempi
della  custodia,  sono  espressamente  considerati  e  valutati  come
subvalenti rispetto al diritto di astensione dei difensori,  per  cui
nessun margine  residua  per  individuare  valori  espressamente  non
contemplati da fare valere in via interpretativa posto  che  tutti  i
valori   costituzionali   soccombenti   si   ritiene   siano    stati
espressamente valutati nel momento in cui si e' reso obbligatorio  (e
a pena di nullita') nella situazione data il rinvio del processo e la
protrazione  della   custodia   cautelare   per   tutta   la   durata
dell'astensione   collettiva,   sol   che   non   vi   sia   espressa
manifestazione contraria  dell'imputato,  e  quindi  rimettendo  alla
disponibilita' del soggetto interessato la tutela di valori che hanno
un  superiore  rango  costituzionale,  che  come   tali   prescindono
dall'interesse del singolo, e debbono essere tutelati in quanto tali. 
    I beni e i valori costituzionali in gioco hanno rilievo  pubblico
e costituzionale; la tutela dei diritti  fondamentali  dell'individuo
nei suoi rapporti con il potere coercitivo dello Stato va  garantita,
a prescindere dalla valutazione che ne faccia il singolo titolare. 
    Non si puo' valutare il consenso dell'imputato  al  prolungamento
della privazione della liberta' personale oltre il tempo strettamente
necessario alla celebrazione del processo, secondo i  tempi  scanditi
dall'autorita' giudiziaria, alla stregua del consenso che  in  alcuni
casi rende giustificato  il  fatto  (la  privazione  della  liberta')
oggettivamente lesivo; cio' che fa dire alla dottrina penalistica che
il bene della liberta' personale dell'onore  e  della  dignita'  sono
diritti relativamente disponibili. Diritti la  cui  compressione  per
volonta' del  soggetto  consenziente  puo'  considerarsi  lecita  per
esigenze  temporanee  o  per  motivi  contingenti  e   comunque   per
limitazioni circoscritte e secondarie. 
    Qui si tratta del potere dello  Stato  di  privare  il  cittadino
della liberta' personale che puo' essere attuato  nelle  sole  forme,
tempi  e  modi  previsti  dalla  Costituzione   che   non   contempla
evidentemente in nessun caso il «consenso» del cittadino,  avulso  da
qualsiasi interesse pubblico e processuale, come e' invece  nel  caso
dell'art. 304, lettera A). E' questa norma nella quale il  rinvio  e'
richiesto dall'imputato detenuto nell'interesse proprio e  della  sua
difesa, per ragionevoli ragioni processuali e personali. Una  domanda
sottoposta al vaglio del giudice che puo' e deve effettuare in questo
caso  il  bilanciamento  in  concreto  con  altri  interessi  che  si
oppongono  al  rinvio   e   finisce   col   coinvolgere   sempre   la
responsabilita' dello Stato che deve concludere il processo  entro  i
termini massimi o complessivi di cui al quarto  comma  dell'art.  303
del codice di procedura penale.  Questo  rinvio,  pur  prolungando  i
termini di custodia non esonera lo  Stato  dalla  responsabilita'  di
sistema per irragionevole durata e ingiusta custodia cautelare. 
    Nessun imputato trattenuto in custodia cautelate oltre  il  tempo
prescritto dalla legge, potrebbe con il proprio consenso «scriminare»
la condotta dolosa o  colposa  del  funzionario  che  abbia  commesso
l'illecito, proprio perche' prima ancora della violazione del diritto
del cittadino, risulta violato il principio di legalita' che  limita,
controlla e sospende il potere coercitivo  dello  Stato,  limitazione
che non puo' essere rimessa nella disponibilita' del cittadino e  del
privato. 
    Che  i  tempi  della  custodia  cautelare  non   possano   essere
logicamente  ricondotti  alla  logica  privatistica   del   «consenso
dell'avente diritto», discende dal fatto che il potere  cautelare  e'
regolato da norme imperative di diritto pubblico, rispetto alle quali
non e' ammessa alcuna interferenza della volonta' del privato. Ed  e'
evidente  come  il  consenso  prestato  all'astensione  del   proprio
difensore, operando in una logica tutta privatistica, non puo' essere
preso  in  alcuna  considerazione  dall'ordinamento,  trattandosi  di
disciplina a carattere inderogabile perche' regola e limita il potere
dello Stato che non puo' trovare  eccezione  ed  esonero,  volta  per
volta, nella volonta' dei soggetti  interessati,  essendo  del  tutto
evidente quale deriva autoritaria potrebbe assumere il  concedere  ai
singoli il potere di autorizzare lo Stato a derogare  alle  norme  di
garanzia. 
    In  questo  campo  si  opera  pertanto  in  materia  di   diritti
irrinunciabili,  indisponibili,   irriducibili   a   valutazioni   di
convenienza soggettiva e privata, essendo la loro tutela  finalizzata
anche al mantenimento degli equilibri costituzionali nel rapporto tra
potere dello Stato di garantire la  sicurezza  e  il  rispetto  delle
leggi attraverso il giusto processo, e il diritto  del  cittadino  al
rispetto  delle  liberta'  fondamentali;  un   equilibrio,   che   va
assicurato dal  legislatore  in  ossequio  alla  Costituzione,  senza
improprie deleghe o  rimessioni  a  terzi,  fosse  anche  il  diretto
titolare del diritto. 
    La rilevanza della questione va esaminata  sotto  altro  distinto
profilo. 
    L'ordinanza  che  il  tribunale  deve   adottare   non   riguarda
evidentemente il merito  del  processo  ma  attiene  ad  un  giudizio
incidentale che concerne il riconoscimento del  «diritto  al  rinvio»
dei difensori che,  totalitariamente,  hanno  dichiarato  di  aderire
all'astensione collettiva delle udienze con l'effetto di  determinare
la sospensione dei termini di custodia  cautelare  per  gli  imputati
detenuti e dei termini di prescrizione per tutti gli imputati. 
    La questione che il  tribunale  intende  affrontare  riguarda  in
particolare il primo dei due effetti e i suoi riflessi sulla gestione
e  durata  dei   processi   con   imputati   detenuti,   poiche'   il
riconoscimento del diritto al  rinvio  determina  automaticamente  il
prolungarsi del termine massimo di custodia cautelare  per  tutta  la
durata del rinvio. 
    Il profilo di legittimita' costituzionale attiene all'effetto del
rinvio sulla liberta' personale degli imputati, sul  giusto  processo
con imputati detenuti,  sul  diritto  di  difesa,  sul  rapporto  tra
ragionevole durata del processo  e  durata  del  termine  massimo  di
«carcerazione  preventiva»  che  il   legislatore   ha   fissato   in
determinati  limiti,  rispetto  ai  quali  il  rinvio  richiesto  dai
difensori finisce con l'incidere, in maggiore o minore  misura  sulla
base  delle  autonome  determinazioni  del  tribunale,  vincolato  da
fattori esterni di tipo organizzativo e  dalle  disponibilita'  delle
risorse necessarie per  muovere  sollecitamente  il  processo,  sulle
quali incidono i rinvii imposti dalle astensioni. 
    La  rilevanza  della  questione  attiene  quindi  alla  decisione
incidentale sul riconoscimento del diritto al rinvio. 
    La pregiudizialita' della questione di l.c. e' limitata a  questo
profilo  parziale  e  limitato,  pur   se   di   assoluta   rilevanza
dibattimentale. 
    Nessuna rilevanza ha la  questione  rispetto  alla  decisione  di
merito e neppure rispetto  ad  altre  decisioni  intermedio  di  tipo
istruttorio o cautelare (se non per il ricalcolo dei termini  massimi
di fase della custodia). 
    Se la Corte costituzionale  dovesse  dichiarare  l'illegittimita'
della norma che si sottopone allo scrutinio di costituzionalita', non
si avrebbe la sospensione dei termini (di custodia e di prescrizione)
come effetto del riconosciuto diritto insindacabile del difensore  ad
astenersi dall'udienza, in assenza di  espressa  richiesta  contraria
dell'imputato, ma come conseguenza  della  sospensione  ex  lege  del
processo per l'incidente di costituzionalita'.  Il  che  produce  una
significativa differenza giuridica,  posto  che  la  sospensione  del
termine non deriva direttamente dalla richiesta degli imputati e  dei
loro difensori  ma  dalla  necessita'  di  sollevare  l'incidente  di
costituzionalita' per fare dichiarare  l'illegittimita'  della  norma
che sancisce il diritto al rinvio nella fattispecie considerata. 
    Cio' comporta che come in occasione della  precedente  ordinanza,
il  tribunale  non  deve  affatto   ordinare   la   sospensione   del
procedimento  principale  sull'accertamento  delle   responsabilita',
rispetto al quale, come detto, la questione e' del tutto  irrilevante
ma  deve  sospendere  semplicemente  il  segmento   subprocedimentale
concernente la decisione sul rinvio richiesto  dai  difensori  e  sui
conseguenti effetti. 
    Cio'  va  ribadito  nei   confronti   delle   parti   che   hanno
frettolosamente  preannunciato  ricorso  a  giudice   superiore   per
ottenere la Cassazione dell'ordinanza del 23 maggio  nella  parte  in
cui  non   sospende   l'intero   giudizio   ma   solo   il   segmento
subprocedimentale, e ipotizzano addirittura nullita' e abnormita' nel
successivo inter procedimentale. 
    A questo  proposito  e  a  sostegno  della  decisione  di  questo
tribunale conviene citare dal manuale di giustizia costituzionale  di
illustri autori, ove si legge: 
        «La  sospensione  e'  il   provvedimento   conseguente   alla
rilevanza della questione. Se la  definizione  del  processo  dipende
dalla  previa  risoluzione  della  questione   d'incostituzionalita',
evidentemente esso deve restare sospeso fin tanto  che  la  questione
pregiudiziale non sia stata risolta. Non necessariamente, pero', deve
sospendersi tutto il procedimento  a  quo,  quando  la  questione  di
costituzionalita' riguardi, per cosi' dire, subprocedimenti  inseriti
sul tronco di quello principale. Si pensi, per esempio,  a  eccezioni
d'incostituzionalita' che riguardano norme su provvedimenti cautelari
interni allo svolgimento del processo. Inoltre, per cio' che riguarda
l'assunzione delle prove, si potrebbe ammettere che il  processo  sia
sospeso solo in relazione alla prova specifica regolata  dalla  norma
della cui costituzionalita' si  dubita  ma  prosegua  per  il  resto,
almeno fino a quando il risultato della prova debba  essere  valutato
ai fini del decidere». 
    Per quanto riguarda le specifiche  censure  d'incostituzionalita'
della normativa risultante dall'art. 2-bis della legge  n.  146/1990,
il tribunale rinvia alle questioni poste con la precedente ordinanza,
qui integralmente richiamata. 
    Ritiene peraltro di affrontare la questione  di  l.c.  sotto  uno
specifico  profilo  non  adeguatamente  affrontato  dalla  precedente
ordinanza. 
    Con  la  sentenza  n.  171  del  1996  la  Corte   costituzionale
dichiarava l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1  e  5
della  legge  n.  146/1990  sullo  sciopero  nei   servizi   pubblici
essenziali  e  sulla   salvaguardia   dei   diritti   della   persona
costituzionalmente tutelati, nella parte in  cui  dette  disposizioni
non prevedono  e  disciplinano  nel  caso  di  astensione  collettiva
dall'attivita' giudiziaria degli avvocati: 
        l'obbligo di un congruo preavviso e di un ragionevole  limite
temporale dell'astensione; 
        nonche' gli strumenti idonei a individuare  e  assicurare  le
prestazioni  essenziali,   nonche'   le   procedure   e   le   misure
conseguenziali nell'ipotesi di inosservanza. 
    Nella  sua  disamina,   la   Corte   muoveva   dall'esigenza   di
salvaguardare,  insieme  al  diritto  di  astensione,  altri   valori
costituzionali meritevoli di tutela. Tra questi il diritto di  azione
e difesa di cui all'art. 24 della  Costituzione  nonche'  i  principi
generali posti a tutela della giurisdizione.  Richiamando  l'art.  1,
comma 1 della legge n. 146 del 1990, la Corte osserva come la  legge,
riguardo a tutti  i  lavoratori  e  prestatori  d'opera  del  settore
pubblico, considera essenziale il servizio pubblico che garantisce il
godimento dei  diritti  della  persona  costituzionalmente  tutelati,
espressamente   enunciati   (vita,   salute,   liberta',   sicurezza,
istruzione, comunicazione via di seguito enumerando). 
    Si e'  gia'  sottolineato  nella  precedente  ordinanza  come  in
ossequio a tali valori il secondo  comma  dell'art.  1,  rivolgendosi
alle diverse categorie di pubblici dipendenti tra  cui  i  lavoratori
della giustizia o operanti in settori a questa connessi, prevede  che
il diritto di sciopero debba essere contemperato  l'esercizio  con  i
diritti fondamentali della persona, costituzionalmente  tutelati,  di
cui al comma 1, e  a  tal  fine  il  legislatore  formula  regole  da
rispettare e procedure da seguire in caso  di  conflitto  collettivo,
per assicurare l'effettivita', nel  loro  contenuto  essenziale,  dei
diritti medesimi. 
    Rivolgendosi alla generalita' dei lavoratori dei servizi pubblici
il legislatore del 1990 non si limitava, come fara' quello del  2000,
a porre il principio rimandando alla negoziazione con la  Commissione
di garanzia la redazione del codice di autoregolamentazione e  quindi
la determinazione delle norme sostanziali e di dettaglio ma imponeva,
con particolare riferimento all'amministrazione della  giustizia,  un
preciso  obbligo  di   considerare   servizio   pubblico   essenziale
prevalente sul diritto di  astensione,  le  attivita'  concernenti  i
provvedimenti restrittivi della liberta'  personale,  i  procedimenti
cautelari ed urgenti, nonche' le attivita' nei  processi  penali  con
imputati  in  stato  di  detenzione.  Queste  attivita',  in   quanto
coinvolgenti la  tutela  del  diritto  alla  liberta'  personale,  da
comprimere per  il  tempo  strettamente  necessario  e  comunque  non
superiore a determinati limiti, non  potevano  essere  compromesse  o
rallentate o pregiudicate dal diritto di astensione. 
    Questa precisa indicazione non e' stata invece ripetuta nell'art.
2-bis che anziche' enunciare espressamente le  attivita'  giudiziarie
vincolate e prevalenti sul diritto di astensione come nel caso  della
restante parte dei lavoratori della giustizia, si limita ad affermare
che  la  Commissione  di  garanzia,  nel  promuovere  il  codice   di
autoregolamentazione per gli avvocati, deve «assicurare in ogni  caso
un livello di prestazioni compatibile con  le  finalita'  di  cui  al
comma 2 dell'art. 1». 
    Si potrebbe certamente discutere se  il  codice  approvato  dalla
Commissione, nella parte relativa alla disciplina  dei  processi  con
detenuti, abbia effettivamente assicurato un livello  di  prestazioni
«compatibile» con le finalita' di cui all'art. 1. 
    Ma un discorso di questo tipo non solo appare  scivoloso  perche'
appunto «compatibile» non significa «non diverso» da quello richiesto
ai lavoratori di cui al  primo  comma,  che  devono  inderogabilmente
assicurare le  prestazioni  necessarie  per  celebrare  processi  con
detenuti, ma soprattutto precluso dal diritto vivente che  ha  finito
con l'attribuire al codice di autoregolamentazione il valore di norma
primaria per la copertura ad esso offerta dalla legge. 
    Le legge che ha integrato la normativa del  1990  sullo  sciopero
nei servizi pubblici essenziali (legge n.  83/2000),  dunque,  da  un
lato determina, come si osservava  nella  precedente  ordinanza,  una
disparita' di trattamento con gli altri lavoratori della giustizia ma
finisce irragionevolmente col non raccogliere l'indicazione tassativa
gia'   espressa   dal   legislatore   del   1990,   di    considerare
inderogabilmente le attivita' nei  processi  con  imputati  detenuti,
come prestazioni essenziali. 
    Cio' posto, appare evidente al tribunale come il legislatore  del
2000 nel formulare l'art 2-bis non abbia accolto l'indicazione  della
Corte costituzionale di adottare «gli strumenti idonei a  individuare
e  assicurare  le   prestazioni   essenziali»,   da   richiedere   ai
professionisti impegnati nei processi penali, tra queste l'assistenza
difensiva inderogabile nei processi con detenuti. 
    Scrive la Corte, che la legge  n.  146/1990  all'art.  1  non  si
limita  a  individuare  le  prestazioni   che   devono   considerarsi
essenziali ma elenca una serie di beni che costituiscono il  catalogo
dei diritti della persona,  costituzionalmente  tutelati  che  devono
essere   comunque    assicurati.    Tra    questi    e'    certamente
l'amministrazione della giustizia.  Ma  la  Corte  non  si  limita  a
questo; fornendo un'indicazione precisa, testuale  e  ineludibile  di
quale possa essere la disciplina costituzionale,  stabilisce  che  le
prestazioni essenziali dei professionisti devono  essere  individuate
«con  particolare  riferimento  ai  provvedimenti  restrittivi  della
liberta' personale  ed  a  quelli  cautelari  e  urgenti  nonche'  ai
processi penali con imputati detenuti», ponendo quindi  positivamente
la regola minima che il legislatore deve adottare. E' la stessa Corte
costituzionale a indicare quindi i  processi  con  imputati  detenuti
come quel settore di attivita' dell'amministrazione della  giustizia,
di fronte al quale recede la liberta' di astensione. Ed  e'  evidente
che  l'essenzialita'  di  questo  servizio,  declinato  nel  contesto
costituzionale, non  ammette  varianti  e  deroghe  ascrivibili  alle
contingenti,  mutevoli,  decisioni  dei  soggetti  interessati  (come
accaduto in questo processo nelle prime due settimane di astensione),
posto che l'interesse alla celebrazione del processo in modo rapido e
tempestivo, e' si' dell'imputato detenuto ma e' soprattutto interesse
pubblico generale dei cittadini  che  esigono  che  in  presenza  dei
detenuti la giustizia sia sollecita e rapida, senza condizionamenti e
senza intralci, per revocare prima possibile  la  custodia  cautelare
dell'innocente o per  mantenere,  senza  scarcerazioni  imputabili  a
rallentamenti  della  macchina  giudiziaria,  lo   stato   custodiale
dell'imputato  eventualmente  condannato,   attualmente   considerato
meritevole  di  custodia   anticipata.   E'   perentoria   la   Corte
nell'affermare che quando la liberta' degli avvocati «si eserciti  in
contrasto con la tavola dei valori sopra richiamata,  essa  non  puo'
non arretrare per la forza prevalente di quelli». 
    Contrariamente a quanto auspicato dalla Corte costituzionale  con
la sentenza del 1996 anche oggi, nonostante  l'introduzione  dell'art
2-bis  nella  legge  n.  146/1990,  il  meccanismo   introdotto   dal
legislatore, con la delega alla Commissione di garanzia del potere di
approvare il codice di  autoregolamentazione,  non  appare  idoneo  a
salvaguardare i  fondamentali  interessi  costituzionali  individuati
dalla Corte e dallo stesso legislatore. L'impotenza della Commissione
di   garanzia   nell'ottenere   una   modifica    del    codice    di
autoregolamentazione concordata con le associazioni  degli  avvocati,
come risulta dalle recenti vicende di convocazioni delle associazioni
e di  rifiuto  delle  stesse  di  raccogliere  le  indicazioni  della
Commissione, del tutto  consapevole  della  necessita'  di  modifica,
rivela con tutta evidenza l'inadeguatezza del meccanismo  ideato  dal
legislatore per disciplinare in  senso  costituzionalmente  orientato
l'astensione degli avvocati. 
    Si puo' affermare, parafrasando la Corte, che il legislatore, non
regolando analiticamente i casi in cui l'astensione pregiudica i beni
costituzionali  primari,  ha  finito  col  mantenere  la   situazione
precedente, non avendo predisposto efficaci specifiche misure  idonee
ad evitare la compromissione di beni primari della convivenza  civile
che   non   tollera   paralisi   o   rallentamenti   della   funzione
giurisdizionale  penale,  in  particolare  quando  e'  in  gioco   la
privazione della liberta' personale dell'imputato presunto innocente.
Era la Corte costituzionale gia' nel  1996  a  esigere  «prescrizioni
volte ad assicurare, durante l'astensione dall'attivita' giudiziaria,
le  prestazioni  indispensabili».  Tali  prestazioni,   espressamente
identificate dalla Corte in quelle inerenti i processi  con  imputati
detenuti, il  sistema  attualmente  non  garantisce,  lasciando  alla
disponibilita' degli avvocati e degli imputati detenuti, agli accordi
invisibili tra gli stessi, a strategie processuali eventualmente  non
trasparenti, la tutela  di  beni  costituzionali  che  devono  essere
tutelati  oggettivamente,  nell'interesse   della   costituzionalita'
dell'ordinamento sul punto. 
    Va ricordato da ultimo un passo  conclusivo  della  sentenza  del
1996 nel quale  la  Corte  mostra  di  considerare  equiparabili,  in
termini  di  essenzialita',  ai  fini  della   tutela   dei   diritti
fondamentali della persona, le prestazioni dei lavoratori subordinati
della giustizia, per  i  quali  vigevano  gli  indicati  limiti  allo
sciopero (processi  con  detenuti  ed  altro)  e  gli  avvocati  e  i
professionisti autonomi; la  Corte  nell'affermare  l'equiparabilita'
delle  prestazioni  quanto  al  fine  della   tutela   dei   diritti,
riconosceva   l'impossibilita'   di   effettuare   un'interpretazione
estensiva e analogica  della  disciplina  dei  lavoratori  dipendenti
della giustizia a quella dei professionisti autonomi,  ai  quali  per
tale  ragione  detta  legittima  disciplina  non  poteva   estendersi
direttamente; cio' non impediva peraltro alla  Corte  di  riconoscere
che «l'astensione dalle udienze di questi attori  del  processo  (gli
avvocati), la cui presenza e' necessaria,  incide  -  in  misura  non
minore  dello  sciopero  del  personale  delle  cancellerie  e  delle
segreterie giudiziarie - sull'amministrazione della giustizia che  e'
servizio pubblico essenziale». In tal modo  la  Corte  costituzionale
riconosceva,  ai  fini  della  regolamentazione  dell'astensione  nel
settore giustizia, la necessita' di equiparare sotto il profilo delle
prestazioni essenziali le prestazioni dei dipendenti e  quelle  degli
avvocati. 
    Per queste ragioni oltre che per  quelle  esposte  nell'ordinanza
del  23  maggio  2016,  il  tribunale   ritiene   rilevante   e   non
manifestamente infondata la questione di legittimita' come  formulata
nel dispositivo che segue.